Il leone è considerato dai curdi il simbolo del Kurdistan. Un simbolo pregnante, che ben incarna la fierezza e la combattività dei suoi popoli. Ma anche un simbolo che si presta a visualizzare pure le profonde ferite di una terra discriminata, dilaniata, lacerata da confini politici artificiali, da guerriglie e guerre senza fine, e insieme confusa nella sua stessa essenza da una complessità di forze ideologiche e militari, di identità religiose e nazionali, di necessità e aspirazioni, con tutte le contraddizioni che ciò comporta.
È dunque un leone indomito ma straziato, il Kurdistan. Ed è nelle sue piaghe che ci conduce la giornalista Selene Verri, con questo reportage capace di destreggiarsi tra simpatie e oggettività, tra esperienza personale, narrata in soggettiva, e approccio giornalistico, tra grandi idee e piccoli bisogni, tra la drammaticità dei fatti geopolitici e del quotidiano umano e le vicissitudini (spesso anche divertenti, o quantomeno trattate con ironico sorriso) di chi viaggia tra Turchia, Iraq e Siria, in quello che (non) è il Kurdistan.